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Italian Law - Governative statement

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IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI MINISTRO DELL'INTERNO PRESIDENTE DELLA CONSULTA ARALDICA

-Visto l'art. 10 del Regolamento tecnico araldico approvato col R. Decreto 13 aprile 1905 (n. 234); -Vista la Relazione del 20 gennaio 1906 presentata dal Commis¬sario del Re presso la Consulta Araldica; -Vista la deliberazione del 28 gennaio 1906 della Consulta Araldica;

DECRETA:

Art. 1.0 - Il VOCABOLARIO ARALDICO unito al presente Decreto, e firmato dal Commissario del Re presso la Consulta Araldica, è approvato.

Art. 2.0 - La Consulta Araldica, nelle descrizioni degli stemmi, ed in altre occorrenze, si atterrà alle diciture contenute nel presente Vocabolario.

Roma, 6 Febbraio 1906.

II Ministro: A. FORTIS.


RELAZIONE

a S. E. il Presidente della Consulta Araldica, Presidente del Consiglio dei Ministri e Ministro dell'Interno ed alla Consulta Araldica.


Il R. Decreto del 13 aprile 1905 (n. 234) approvava un Regolamento Tecnico-Araldico nel quale si disponeva (art. 1°) che « la Consulta Araldica, nella descrizione degli stemmi ed in altre occorrenze, si atterrà alle diciture contenute in uno speciale Vocabolario Araldico, da essa compilato ed approvato con Decreto Ministeriale ». Essendomene stata affidata la compilazione, mi onoro presentarla all'esame ed alla sanzione dell'E. V. e della Consulta Araldica. L'Araldica, parte notevole ed importante dell'Archeologia medievale, mentre, fra noi, ha tradizioni notevolissime, tanto come arte, quanto come simbolismo e come storia, non possiede ancora, in Italia, un linguaggio proprio definitivo, di scientifica e tecnica precisione; come, del rimanente, non lo posseggono le altre nazioni all'infuori della Francia. Colà le tradizioni degli antichi araldi d'arme costituirono una lingua ingegnosa e descrittiva che, in molte parti, supera quelle stesse, così evidenti e precise, della numismatica e della botanica. Se, usando tale linguaggio, si telefonasse una, anche complicata, descrizione d'arma a parecchi blasonisti isolati, questi, se capaci, tutti la effigerebbero ad un modo. Fra noi, o per vezzo di descrivere con eleganza letteraria; o per adoperare frasi di conio classico ma incertissime; o per la volgarità dei mestieranti; o per la poca riflessione di scrittori incoscienti od ingenui, ricopiantisi l'un dall'altro; si tentò di codificare questa lingua, ma non si riuscì che a confusioni, non disgiunte da superficialità ed errori. Riconoscendo la supremazia del linguaggio francese, molti non fecero di meglio che tradurlo letteralmente facendo del chef un cheffo; del chevron un cheverone, o caprone, o capriolo; del brochant un broccante; dei supports i supporti; della brisure la brisura; del baillonné un bailonato e giù di lì. Eppure, malgrado tanta barbarie di parole, parecchi corrono tuttora e si impongono nei trattati. Per molte voci si fece strazio della logica. Ad esempio la partizione che divide lo scudo d'arme verticalmente è detta in Italia, come in Francia, partito e sta bene. Ma quella orizzontale, chiamata coupé in Francia, secondo i trattati correnti dovrebbesi dire spaccato. Ma per chi ha fior di senno lo spaccare è operazione di fendente che vien giù e non di colpo che si mena alla larga. Si spacca la legna, si tronca la testa. Quindi usiamo il troncato e non rimarrà dubbio sulla linea da tracciare. Fermandomi su questo vocabolo, eccone le varianti nei nostri scrittori: partito lo chiamano il DE LELLIS (1,62); il CELLONESE (68); il MUGNOZ (1,6); partito per linea retta il DE LELLIS (1, 60); partito in fascia il CARTARI (203); diconlo diviso il TORELLI (Splend. nob. napol., 39); diviso per fianchi il FRESCHOT (2a ediz. 178); diviso in una linia il MUGNOZ (266); diviso in faccia il BEATIANO (Aral. ven., 30); diviso per fianco il PASSERINI (in ADEMOLLO, 1,50); tagliato lo stesso PASSERINI (IV, 1558); tagliato a traverso per piano il BORGHINI (Disc., 111, 77), che altrove usa: campo bipartito orizzontalmente (111, 88) e dimezzato per diretto (111, 77) ed anche mozzato (111,144); reciso mettono fuori il FRESCHOT (2a ediz. agg., 1) ed il BEATIANO (Aral. ven., 30), che si serve anche (ivi, 31) di taglio mandritto. Campo balzano scrive il MANNI (Sig. 1, 16) e balzano il PASSERINI (c. s. 1,47); liniato il MUGNOZ (1, 100) finche vien fuori lo spaccato, così illogico, cresimato dal buon GINANNI dopo il battesimo del FRESCHOT (Presid., 236), del BEATIANO (Cor. imp., 181) e del LESPINE (Leggi blasoniche,51). Mi feci debito e scrupolo di spogliare, per quanto seppi, gli scrittori italiani, per mettere in evidenza la varietà di locuzioni, vagliarle e scegliere quelle adatte perché diventino definitive. Non posso dilungarmi in queste giustificazioni filologiche, ma spero produrle in un libro che le spieghi e le giustifichi coll'appoggio degli esempi degli scrittori e colle de¬duzioni della critica. Cosicché si ha fiducia che sarà usata la cortese equità di leggere le motivazioni prima di condannare questa Proposta di Vocabolario. Qui mi limito ad esporre le ragioni per due fra le parole più discusse, il sautoir e lo chevron. Due traduzioni mi sorridevano per la prima figura; la Crocetraversa già usata dal CARTARI (197) e il decusse; questa, perché latinamente significa una croce foggiata ad X ed è derivata dalla cifra indicante il valore di dieci assi nel decussis. Ma nella successione dei tempi fu tradotta nel barbaro saltarello (DELLA CHIESA); fu detta croce a sghembo (BORGHINI, Disc., III, 92), croce alla schisa (PASSERINI in ADEMOLLO, 1, 281); ad iccasse (ms. di Giacinto CARENA da me posseduto); croce andreana e campo angolare (CELLONESE, 75); due bande traversate in guisa di croce di S. Andrea (MUGNOZ, 272); croce diagonale (GINANNI). Noto il BEATIANO (AraI. ven., 47) che già si serviva della croce decussata. I più chiamano capriolo il chevron perché ammaestrati dal GINANNI che si soffermò al senso zoologico del vocabolo francese. Ma si andò al cheverone (DELLA CHIESA), al chevrone (BOMBACI, Araldo, 27 e BEATIANO, Cor. imp., 196) e non mancò chi scrisse: caprone e cavrone (BEATIANO). Perdura il cavalletto del CARTARI (194), ma è strumento di supplizio. Il PASSERINI (l. c., 1, 46, 281) lo trasforma in arnese da muratore valendosi dell'archipenzolo, come già il BORGHINI (Disc., III, 92) della squadra. Lo scambiano con altra pezza, cioè colla bordatura il MORRA (Fam. Morra, 97,149) ed il DE LELLIS (1,283) ed il MAZZELLA che lo battezza: bordatura acuta; mentre il MUGNOZ si serve dell'imbordatura che è a guisa di squadra e dell'imbordatura acuta e persino del manto monacale (279, 286). Trabeatura chiamalo il CELLONESE (109); compasso il MANNI (Sig., II, 37); scaglia di pesce, Scipione AMMIRATO (Fam. fior., I, 70); lista inarcata il GAMURRINI (Fam. tosc. umbre, III, 25); sbarra angolare il CAPACCIO (Fam. Gennaro, 145) ed anche sbarra triangolare. Mi fermo sul vocabolo già scelto dal BEATIANO (Fortezza, 151) e dal FRESCHOT (256; 2a ediz., 210) cioè allo scaglione che riproduce nettamente la configurazione di questa pezza araldica. Limitando, a queste poche, le citazioni, ripeto che condussi la scelta delle parole a fil di logica e con altissimo rispetto alla italianità, non disgiunta dalla tradizione. E perché gli studiosi e gli artisti intendessero il valore dei vocaboli adoperati, intercalai il testo con opportuni disegni. Ben inteso che, come in più occasioni lo proclamò, la CONSULTA ARALDICA non intende imporre a nessuno, fuori che a se stessa, questo VOCABOLARIO ARALDICO. Deciderà il lungo uso penes quem est ius et norma loquendi. Persuaso di avere almeno fatto opera diligente sgombrando il campo dalle superfluità, dalle dubbiezze, dai barbarismi, presento questo tenue contributo lessicografico di un VOCABOLARIO ARALDICO, seguito dal DIZIONARIETTO delle voci francesi tradotte in italiano e lo sottopongo all'esame, al giudizio ed ai suffragi della CONSULTA ARALDICA.

Roma, 20 gennaio 1906

Il Commissario del Re ANTONIO MANNO